Questa è una domanda che ho fatto all’interno del gruppo di genitori, quello che amministro e modero da ormai più di un anno e mezzo, e le risposte sono state tante e significative. È importante però prima riflettere su che cosa significhi essere autonomi nello studio.
Intanto bisogna capire cosa voglia dire autonomia: è qualcosa di molto diverso da responsabilità, consapevolezza, senso del dovere.
Autonomia significa avere le competenze, sapere come utilizzarle e, anche qualora le proprie competenze non siano eccellenti, magari a causa della presenza di qualche fragilità, sapere come compensare queste ultime con strategie adeguate.
Quindi autonomia è una abilità/ qualità che per essere raggiunta necessita di allenamento, di esplorazione, di prove, di tante cadute e quindi di conseguenza anche di tanto sostegno da parte delle figure genitoriali e delle figure di riferimento dell’ambito scolastico. “Io” non posso pensare di imparare a cadere e a rialzarmi se intorno a me non sento un atteggiamento sicuro e coerente che mi infonde fiducia nelle mie qualità.
Altrimenti cosa accade? Accade che il bambino, quindi tuo figlio o tua figlia, sviluppa fin da piccolo un’insicurezza rispetto a se stesso e alla gestione del proprio spazio di apprendimento. Un’insicurezza che è naturale nella prima fase della scuola primaria, è naturale perché si stanno mettendo in campo infinite abilità, competenze e siccome come vi scrivo sempre, il bambino non matura in tutte le sue aree contemporaneamente, diamogli/le tempo.
Quei primi 2, 3 anni sono necessari – addirittura anche la quarta è un anno ancora di stabilità, bisogna ancora lavorare sulla stabilità di alcune competenze – da lì però bisogna iniziare a trasferire nei propri figli la fiducia e il sostegno che sbaglieranno ( e chi è che non sbaglia nella vita?) che scriveranno delle cose orribili, che faranno dei riassunti terrificanti o copiati, dove non si capisce niente, che avranno le prime interrogazioni orali e faranno delle figure cacine, risponderanno per monosillabi.
Sì tutto questo accadrà, così come il panico del foglio bianco di fronte a una verifica, e non accadrà soltanto una volta, accadrà tantissime volte, ma quello che loro devono sentire è che possono, da soli, con le loro risorse personali, attuare un cambiamento rispetto al successo delle loro espressioni di apprendimento.
Se fin dalla scuola primaria non gli si dà questa sensazione di fiducia globale, il bambino è tendenzialmente portato a credere di non avere sufficienti risorse e quindi delega all’esterno, perché è molto più facile, la ricerca di competenze e di aiuto.
Quando si delega all’esterno e lo si fa per molti anni, quindi non soltanto la primaria, ma anche alle medie, poi ci troviamo adolescenti che vivono un contesto dissociato:
- da un lato voi genitori gli state dicendo che possono avere delle libertà di autonomia incredibili sulla vita personale ( uno dei quali è l’illimitato accesso al web e ai social, a tutto quello che è il mondo digitale)
- dall’altra c’è un adolescente che ancora necessita di una figura genitoriale per comprendere i contenuti, per capire cosa è importante trattenere o cosa importante lasciare andare, e quindi prepararsi alle materie.
Quando non è il genitore, succede come dico io “l’accendi la carta esterna”: una figura a cui delegare il proprio sforzo scolastico che è il ragazzo delle ripetizioni o la ragazza delle lezioni oppure un docente.
Quando si arriva a questi punti bisogna fare un passo indietro: quella autonomia personale di cui parlavo prima non si può tradurre assolutamente in una autonomia reale e completa.
Agli stessi ragazzi e ragazze, all’interno della conversazione educativa che viene fatta in Bottega, io chiedo magari chi paga le bollette, se addirittura sanno che cosa sia una bolletta, se conoscono le procedure di acquisto di un’automobile o che cosa sia l’assicurazione -a volte si parla dei rischi e dei pericoli della strada legati alle macchinine- cascano dal pero. Fino ai 14/15 anni, età in cui io di solito lavoro con loro, scopro che non hanno percezione di varie cose della vita quotidiana, di quella che è la realtà: una realtà fatta di stipendi, di buste paga, di assicurazioni, di bollette.
Sono competenti su alcune aree, anche più dei loro genitori, quanto ignoranti sulle questioni pratiche: fare un abbonamento tranvia, muoversi per la città, organizzarsi le uscite per non parlare dei soldi.
Ecco allora quindi, ritornando sulla domanda che ho posto inizialmente, cosa significa avere un figlio autonomo nello studio?
Significa aiutarlo ad acquistare tutte quelle competenze via via negli anni che gli permetteranno poi di avere una gestione completa della sua persona, ovviamente adeguato all’età. Una gestione della sua persona all’interno di un contesto familiare, all’interno di un contesto sociale, all’interno di un contesto scolastico: questa è l’autonomia.
Ci sono dei ragazzi che la ottengono velocemente e ci sono dei ragazzi che vanno aiutati a conquistarla.
Se il mio intervento arriva entro una prima o seconda media, certamente è più semplice e veloce aiutarli e aiutarti a sbloccarti da questo punto di vista.
Quando gli anni si accumulano e quindi anche i rituali diventano abitudini consolidate sia nella nel gesto che nella psiche, indubbiamente il lavoro è più complesso e talvolta non è neanche soltanto un percorso pedagogico.
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In Studio comunque abbiamo una buona rete di colleghi e il lavoro è sempre fatto con attenzione, cura e professionalità, per cui se hai bisogno contattami faremo una valutazione e poi ti dirò come procedere per riuscire a far conquistare l’autonomia a tuo figlio.