Adolescenti sfrenati come si possono “guidare a meta”

Cara mamma e caro babbo di adolescente,
sei stanco a volte, sfinito dall’estenuante tira e molla.

Vieni nel mio blog ed io ti parlo di Relazione, di costruzione di “spazi condivisi” con i tuoi ragazzi.

Oggi ti racconto una storia, l’ho scritta per te, un inedito…speciale.

Un viaggio nel cuore con le sue emozioni

I figli diventano grandi e sembra non abbiano più necessità di stare del tempo con i genitori, vecchi, babbani e passati ai loro occhi. Canuti a ricordar loro solo le cose che non riescono a fare, a finire e a progettare.

Invece un sacco di anni fa, nel secolo con un solo mille, solo dopo un kilo abbondante di innovazioni tecnologiche e di funerali di carte narrate mio padre esordì con un: “Si va. Ho deciso. Ti porto a Parigi.”

La Francia era la sua seconda patria, ne respirava i profumi anche a distanza quando io ancora dopo molti viaggi non avevo ancora deciso se apprezzarla o no.

Certe usanze barbare francesi non le capivo, in primis il bidet sottratto dalla stanza da bagno e poi la baguette portata con ascelle maleodoranti. Le avevo osservate fin dai primi itinerari selvaggi nelle spiagge bianche della Costa Azzurra, avevo ancora il grembiulino azzurro ma l’acume non mi mancava.

Parigi. L’emozione più grande non nasceva dalla partenza né dalla destinazione, quanto dalla consapevolezza di una caratteristica disordinata di quel mio babbo: un procedere senza tappe e senza progetti di visite intermedi, solo un vagabondare zingaro a quattroruote.

Ho viaggiato con quello strano personaggio, di cui porto una marcata somiglianza se ascolto i molti che ci incontrano, e da lui mi sono fatta condurre in terre che hanno cambiato il nome,

La Yugoslavia, non c’è più, e noi l’abbiamo attraversata fino ad entrare in Bulgaria e alle sue spiagge sul Mar Morto con una Regata Fiat quando le strade erano fatte di buche e desolazione, senza stazioni di servizio con gli ottani giusti. Ho sempre letto le mappe, adoravo il ruolo del navigatore e l’emozione di credere di conquistare città e luoghi. Ho visto la Germania e la Cecoslovacchia prima del Muro, ricordo il grigio che era dei palazzi e della pelle, ma non dei cuori.

Parigi.

L’anno dei Mondiali vinti di calcio c’ero già stata, in camper dormivamo lungo la Senna in un campeggio cosi curioso e tanto francese.

La situazione è con sfumature dai toni differenti. Oggi, adolescente o giovanotta, sarei partita con babbo come nel film di Verdone -In viaggio con papà- che si ritrovavano legati dopo essere perduti.

Babbo, vivace intellettuale, aveva percepito che mi stavo perdendo, il sorriso di un tempo era spento da mesi, gli occhi verdi sovente affogavano in lacrime nate anche solo da semplici virgole sbagliate: i vestiti troppo grandi o troppo inutili per raccontare di me, la vera me.

Le paure e le incertezze mi stavano ammantando di una pelliccia di piombo.

Parigi,era sinonimo di Eurodisney, lo spazio dove avrei rivissuto i miei amici dell’infanzia, li avrei di nuovo salutati e abbracciati…e forse mi avrebbero riacceso il sorriso.

Partimmo una mattina non albeggiante di un venerdì gelido, con i boccioli teneri rosa a salutarci. Salimmo sulla berlina che aveva da poco cambiato. Blu come tutte le altre prima e quelle dopo. Blu come i pensieri che avevo.

La prima tappa ci avrebbe portati sfiniti di là dal confine, oltrepassando il ponte traballante di Genova come razzi per la luna. Il babbo odiava l’altitudine, e di quel cavalcavia insisteva a ripetere che era troppo alto per reggerci tutti. Su su verso nord, il Passo del Turchino che sapevamo aspettarci con il suo autogrill panoramico sulle spalle della Liguria. Il vento fra i capelli e le briciole di salame in auto ci avrebbero ricordato il giorno seguente che solo dopo qualche giorno li avremmo riassaporati. Eurodisney non è certo un luogo per mangiare gourmant. 

La prima tappa sarebbe finita ai piedi del Monte Bianco. Il riposo, e poi l’alba e la meta: il parco. 

Ha avuto ragione lui anche quella volta, riportando a casa qualche orecchia nera e nuovi sorrisi e idee.

Ogni volta che io e mio padre viaggiamo accade una magia : la giornata cresce nelle ore e diminuisce nella fatica.

Come si apre la strada alla gioia? Come si può far che essa fluisca nell’anima? Si chiedeva Guardini, umanista di fine ‘800. Occorre contestualizzando al 2020 essere “aperti”, chiari e indipendenti dagli eventi esterni.

A te il compito di insegnare col tuo esempio come le difficoltà, gli ostacoli vengono riconosciute come prove per la propria forza mostrando coraggio e capacità di comprendere le proprie risorse.

Ci sono battaglie che non serve combattere, mentre è sempre utile sviluppare gentilezza e comprensione dell’altro.

Se l’animo è abbattuto lo vedi anche nel corpo, che si accascia, le spalle di fanno scivolose, la palpebra calante…in quel momento AGISCI.
Inventati un’avventura.

 

Vania Rigoni

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