Io non sono contraria (come posso? sono uno scienziato) alle definizioni medico-sanitarie che ci dicono se tuo figlio ha o non ha e in quale forma un eventuale disturbo dell’apprendimento, una sindrome piuttosto che un disturbo del comportamento.
Come dico sempre, tutto quello che faccio si basa su teoria e scienza Pedagogica che studio da metà della mia vita, oltre a metterla in pratica. Per cui sarei ambigua e anche un pò ipocrita a dire che aborro completamente la nomenclatura medica.
Ti faccio una domanda:
si può individuare una persona semplicemente per i disturbi o le “anomalie” che ha?
Non è possibile.
Scrivevo sul gruppo di Facebook: se da oggi, in ufficio, invece che per nome o cognome vi chiamassero “la diabetica”, “la renale”, “l’asmatica”, “la vena varicosa” e via dicendo… capite bene… sono tutte malattie che potremmo avere, le ho anch’io, abbiamo tutti qualcosa di “anomalo”, nessun soggetto umano è perfetto.
Abbiamo tutti delle imperfezioni, che ci caratterizzano per altro. Perché avere una malattia o una sindrome ci rende particolari. Non possiamo mangiare alcuni alimenti, dobbiamo avere ritmi diversi, bere molta acqua, prendere delle medicine. Certo, questo è scientifico. Ma io non posso pensare che tu ti senta comodo ad essere definito “il diabetico” o “il cardiopatico” sul tuo posto di lavoro.
Sono convinta che ti piacerebbe che i tuoi colleghi preferissero chiamarti per nome e che tenessero contemporaneamente conto dei tuoi eventuali “bisogni speciali” (alimentari, medici o quant’altro).
Ecco. Io per tuo figlio vorrei la stessa cosa.
Perché mai dobbiamo definire un bambino o un ragazzo per i problemi che ha?
Questo lascialo fare a noi specialisti che sappiamo di doverlo guardare per quelle sue inefficienze.
E chi si occupa di sanitario si DEVE pre-occupare di curarlo o di invitare la famiglia e il ragazzino ad intraprendere dei percorsi adatti a superare quelle inefficienze.
Però, tu non lo puoi guardare per il problema.
Chi viene da me lo sa che sgrano gli occhi quando mi presentate Pietro e mi dite “E’ dislessico”.
“E allora? Pietro com’è?” – continuo io.
“Ha sempre fatto fatica a leggere, non gli piace”. “No, no ma… Pietro COM’E’?” – ribatto.
Dopodiché alcuni di voi se ne vanno dopo questo tipo di approccio nei primi appuntamenti.
E ben venga che se ne vadano. Perché se mi continui a definire tuo figlio come “Il Dislessico” oppure “Il Discalculo” è ovvio che vai in conflitto con quello che io cerco invece di portare avanti da oltre vent’anni: le persone sono PERSONE, non sono sintomi.
Chi si occupa di educazione e lavora per sintomi ha sbagliato lavoro, doveva fare lo psicologo o il medico.
Quindi se tu da una parte ti rivolgi ad un esperto di processi formativi, ad uno specialista come me che cerca di aiutare le persone a trovare soluzioni, affiancarle mentre le trovano, motivarle e anche mettere in moto quelle attivazioni profonde e dall’altra mi continui a dire che tuo figlio è soltanto un sintomo, un pezzettino, lo guardi come fosse un unghia mentre io vedo l’intero corpo… Capisci bene che con questi presupposti preferisco non lavorare.
Quei genitori sono DIFFERENTI da me. E preferisco non lavorarci se continueranno a vedere l’unghia e non l’intero corpo.
Mentre per tutti gli altri (e per fortuna sono/ SIETE in tanti!) la parola “inclusione” è qualcosa di ben più radicato di quanto ci vogliano far credere i media e i vari “fuffaroli”.
Inclusione è un modo di pensare.
👉🏻Inclusione sei tu che vieni in Bottega e alla mia domanda “Parlami di tuo figlio, com’è?” rispondi: “E’ un bambino simpatico, generoso, a volte un pò timido effettivamente – e anche un pò rompiscatole! – non gli piace leggere… ma forse questo dipende dalla sua dislessia? Non lo sappiamo. Fatto sta Dottoressa che ci piacerebbe trovare un modo per farlo appassionare un pò di più alla lettura e per fargli vivere meglio l’ambiente scolastico”. Questa è una possibilità.
👉🏻Un’altra potrebbe essere: “Dottoressa, ci siamo accorti che ha un’antipatia particolare per la matematica. Non riusciamo a mettere a fuoco il motivo. Che ne pensa? Potrebbe essere un disturbo dell’apprendimento oppure secondo lei è semplicemente perché con la maestra di matematica non si sono presi? Cosa possiamo fare?”.
👉🏻Oppure te ne dico un’altra: “Gli è stato diagnosticato un disturbo dell’apprendimento misto quando era alla scuola primaria, ora stiamo per entrare alle scuole superiori. Ci piacerebbe dargli una mano perché una cosa che abbiamo notato è che non ha mai imparato ad organizzarsi. Non sappiamo se ciò è legato agli apprendimenti o se è una cosa sua, ma ci chiediamo se c’è una possibilità per dargli un metodo di studio, che poi è quello di cui fondamentalmente si sono sempre lamentati tutti”.
Ecco queste sono 3 possibilità utili. Tre sguardi da genitore che guarda al proprio figlio come ad un futuro adulto.
E allora qui la Scienza Pedagogica ci aiuta tantissimo perché tutte quelle che sono le strategie di Problem Solving, di pianificazione, saper leggere gli stili di apprendimento, saperglieli riproporre in altri modi, sviluppare a partire dai loro interessi delle curiosità che possano poi giocarsi sia nella vita scolastica che extra scolastica, ecco questo fa la Pedagogista esperta di processi formativi come sono io.
Se ti sono nate delle domande specifiche, fissa un appuntamento di prima consulenza è la miglior sede per iniziare il cambiamento.
☎️ 055472846 (15-18) – 333.2351003 wsp
📩 dr.vaniarigoni@gmail.com