Le “crisi” di tuo figlio di fronte al fallimento sono momenti drammatici.
Lui o lei si dimenano con pianti disperati, grida che tolgono la voce, lanci di oggetti e talvolta di pedate.
Altri bambini invece hanno sguardi da “serial killer”, silenziosi, abbassano il mento e digrignano i denti, di nascosto mangiano matite e altra cancelleria.
Tu paonazza per l’imbarazzo e per la rabbia.
Hai provato tutte le vie che le amiche e i colleghi ti hanno suggerito:
- ignorare
- fingere che non stia accadendo
- fare la voce grossa
- paragonarlo/a a il fratello (o amico) santo
- punirlo/a privandolo/a di qualcosa
- passare la palla a tuo marito (o viceversa) per sfinimento
In verità questo è un “male del secolo”.
Sempre più spesso i bambini nascono con il peso della responsabilità dato loro da intere famiglie, attesi lungamente con speranza e aspettative elevate, figli unici in una società che per i ritmi frenetici invita più alla condivisione social che a quella del contatto fisico.
La società impone alte performance a te, genitore e di conseguenza anche a tuo figlio.
Quello sguardo giudicante che tu vivi nel lavoro, nella vita, al mercato è lo stesso che affligge il tuo bambino a scuola, nello sport e spesso anche in famiglia.
I bambini con “le crisi drammatiche” appartengono, con deroghe a questa generalizzazione, a due grandi gruppi: gli iper protetti e gli iper autonomizzati.
Nel primo caso vivendo sempre con qualcuno che sceglie per loro, interviene per loro, media per loro non sviluppano le abilità psico-relazionali che gli consentono di non vivere un fallimento, un errore come una disfatta totale.
I secondi, chiamati a sentirsi grandi, circondati da figure mature che si pongono nei loro confronti come fossero già mini-adulti si spaventano di fronte ad accadimenti negativi che non sono riusciti a prevedere e si sentono in colpa e in imbarazzo per non aver mantenuto le aspettative delle figure significative (cioè te).
Vedo un numero sempre crescente di bambini dai 6 anni in sù, che le cui “crisi drammatiche” sono sintomi di insicurezze, di pesantezze cui non sono preparati a relazionarsi e che non riescono a comunicare all’esterno.
Incontro genitori nelle consulenze, in difficoltà che si accorgono di aver sbagliato in qualcosa ma non riescono a cambiare rotta.
Per questo il lavoro pedagogico è prezioso.
Intervenire con la scienza dell’educazione in questo ambito permette ai bambini di comprendere il senso di un fallimento, il vero senso dell’errore.
Errore deriva dal verbo latino “errare” che in sé ha due significati:
- errare nel senso di aver smarrito la giusta via, deviare da quella che è, o dovrebbe essere, la strada tracciata da seguire.
- errare nel senso di viaggiare, pellegrinare inteso come vagare alla scoperta di luoghi “altri” che non si conoscono.
L’errore quindi, se da un lato ci porta fuori da una norma, dall’altro è anche una deviazione che può consentirci di conoscere qualcosa di nuovo.
Insieme al lavoro con i bambini è importante offrire alle famiglie sostegno e suggerimenti di tipo pedagogico, ma che avrò cura di valutare se inviare a differente figura professionale come la psicoterapia di coppia.
Ti saluto con questa citazione:
“Avrò segnato undici volte canestri vincenti sulla sirena, e altre diciassette volte a meno di dieci secondi alla fine, ma nella mia carriera ho sbagliato più di novemila tiri.
Ho perso quasi trecento partite.
Trentasei volte i miei compagni mi hanno affidato il tiro decisivo e l’ho sbagliato.
Nella vita ho fallito molte volte.
Ed è per questo che alla fine ho vinto tutto.”
Michael Jordan
..e se hai bisogno chiamami.