Paura di essere DIVERSI [bambini/ragazzi] riassunta in 2 passi più UNA Soluzione testata.

Oggi ho voglia di raccontarti alcune riflessioni che ho pensato nei giorni passati, sopratutto a fine degli incontri con i 12 e 13 enni, una fascia di età molto delicata e sensibile, soggetta a facili generalizzazioni da parte degli adulti.

La paura di essere diversi che si mescola con quella naturale di un pre-adolescente.

Ciclicamente mi sento costretta a rispondere alla domanda:
     Sono tanti i bambini che vengono qua da te Vania?

E normalmente la domanda me la fa uno dei ragazzini che ho di fronte, spesso dopo i primi 5/6 incontri quando si accorge che riaccompagnandolo dai genitori, sorridente saluto chi mi sta aspettando per cominciare.

Il gossippare per sentirsi uguali e normali

La curiosità dei bambini e ragazzi è sempre sapere che difficoltà hanno gli altri, un misto fra l’abitudine a “sapere e guardare” appreso dall’adulto che sbircia attraverso lo spioncino dei sociale e il bisogno di rispondere “ai grandi Perché”.

Che difficoltà hanno mi chiedono?
– assomiglia alla loro?
-se invece si differenzia, perché?
-è tanto che li conosco?
-anche con loro gioco? e sono gli stessi giochi?

..tante domande, non per ficcanasare come farebbe un adulto, quanto per condividere un fardello che li ha appesantiti e che li rende o tristi o irritabili, in disagio spesso col mondo oltre che con se stessi e i loro genitori.

Ogni volta che si varca la porta di uno specialista avvertiamo un certo misto fra timore e speranza, non è diverso quando si entra da una pedagogista (figurati se ti rivolgi a una mediatrice familiare…). Quando se ne esce è tutta un’altra cosa! hai risolto un problema.

Affidarsi a qualcuno terrorizza.

Affidarsi terrorizza perché non si comprende subito cosa ci verrà chiesto di fare. Da quando c’è Google però arrivi molto più informata, anche se talvolta sapere troppo ti incasina le idee… ti aspetti delle risposte e ne ricevi altre, e poi diciamocelo “ci sono in giro tanti ciarlatani e maghi della tastiera” che scopiazzano qua e là articoli e libri scritti da persone come me, vendendoli come propri… e poi quando li conosci ti fanno proprio “una strana sensazione”.

Premetto che sbagliare è umano e anche non rimanersi simpatici, tuttavia quando alcuni mi dicono “quella XX mi ha terrorizzata, sembra che mio figlio o va da lei o io sarò il genitore che lo ha rovinato per sempre”… mi chiedo cara XX collega:

Ma come cavolo ti viene in mente di fare terrorismo psicologico così di bassa lega?

Oppure quelli “dottoressa Vania non ci capivo più nulla, la mattina non si può chiamare perché è a scuola, insegna, poi dei giorni fa i Fiori di Bach, altri le serate di massaggio, poi lavora con gli anziani ..oltre la pedagogista”

Essere complessi è una risorsa per il cliente, SE la complessità è integrata, interconnessa e complementare. Come io ho scelto di percorrere la via del socio-educativo e della prevenzione e lo faccio attraverso l’approccio comunicativo relazionale del pedagogista formato in clinica, poi aggiornato  in DIR-Floortime e Tuchpoints Approch, e lavoro in prevenzione favorendo la nascita di accordi e superamento di conflitti con gli strumenti della Mediazione Familiare modello globale.

Ovvio che la Scienza pedagogica benché sia una ha in sé moltissimi approcci, modalità e stili che vengono studiati, approfonditi, altri scartati da ciascun suo professionista, quando ciò non avviene è solo CONFUSIONE e tu hai paura.

Molti anni fa quando lavoravo nelle scuole e nel domiciliare ho intuito che la mia via di progettare educazione doveva partire dalla relazione con l’altro (il bambino, la sua famiglia, le insegnanti e i dottori), proseguire con una vena personale di creatività che mi permette di creare oggetti, materiali specifici e speciali per ogni soggetto, ispirandosi ai modelli socratici da un lato e collaborativi (Don Milani) dall’altro.

Lo Stile #BottegadiVania

Nel mio Studio, la Bottega, oggi trovi proprio questo meticciamento di approcci che hanno dato vita allo Stile Bottega:

  1. una location familiare, luminosa e silenziosa (uno spazio educante)
  2. una sollecitazione continua verso lo sviluppo e l’educazione,
  3. incontri e scambi fra genitori e bambini
  4. un servizio che ti segue a scuola e a casa e se serve nel tempo libero.

Un unica parola magica: essere esempio.

Quest’anno proprio per essere ancora più efficace ho voluto approfondire l’approccio Touchpoints del famoso pediatra statunitense Berry Brazelton con una formazione intensa a Roma (30 ore in frontale e 12 di supervisione)nell’unico Centro italiano riconosciuto.  L’ho scelta perché rispecchia il mio modo di lavorare (interdisciplinariamente con una rete nel territorio)e perché favorisce la collaborazione con un’equipe allargata con la famiglia come ho sempre promosso io.

Genitori come esperti dei loro bambino e
per questo da ascoltare sempre e con massima cura,

è una delle frasi cult del Modello e che calza alla perfezione col mio Approccio.

Tante delle tematiche sono state occasione di rileggere con occhi più esperti e maturi quanto studiato negli anni universitari e nella specializzazione in Pedagogia Clinica.

Ritornando alla paura di affidarsi…essa cela sempre la paura di non essere guardato per quello che si è veramente. Ecco perché mi piace offrire un bicchier d’acqua e un caffè, un quadretto di cacao fondente o una mandorla a chi viene per le prime volte (perchè dopo me lo chiedi tu!!!!) per far capire che io farò del mio meglio, che sarò un professionista ma non per questo salirò sul piedistallo.

Quando un ragazzino viene da me ha paura di essere guardato diverso, ha paura che avrà un etichetta e che non potrà cambiare la sua situazione.

A questo proposito vi offro questo estratto, che abbiamo letto con un ragazzino di prima superiore che seguo:

“La lampada di Aladino”.

Sono due ore che aspetto e chi se ne importa se mi guardano, borbotto a voce bassa mentre mi cerco in un angolo dello specchio per ravviarmi i capelli e aggiustare il nodo alla cravatta. Ci sono tante cose nello specchio: schiene di materiale sintetico che sfoggiano giacche di marca, gambe infilate in pantaloni di lino perché si avvicina l’estate, strane strutture vagamente antropomorfiche per sostenere camicie oppure maglioni di quelli che si portano con noncuranza sulle spalle, e lì, fra due paia di mocassini, c’è anche la mia testa, il mio viso un po’ nervoso, serio, speranzoso. La gente mi osserva, qualcuno sorride, altri danno una gomitata al compagno perché mi guardi e so che non è per via di quel che indosso. Vestito o nudo, non passerò mai inosservato. Ho raccolto dei fiori nel parco qua vicino. Niente di straordinario, fiori semplici che erano lì, a portata di mano. Non so nemmeno come si chiamano.

 Verrà? Ne dubito, perché so quant’è difficile vincere una paura che non è paura, una vergogna che non è vergogna, la colpa più innocente. Ne dubito e, per vincere la sfiducia delle ore passate ad aspettare, mi accendo una sigaretta. Ora attiro molto di più gli sguardi dei passanti. E’ sempre così. “Sta fumando”, “Sta mangiando”, “Sta piangendo”. Qualunque cosa faccia è sempre così.

All’improvviso guardo il mazzo di fiori e scopro che la mia mano, invece di reggerli, li stringe, li strangola con quella violenza minima che basta a sconfiggere i loro fragili colli vegetali. Sorrido pensando che sono appassiti in un lasso di tempo davvero minimo, come le bandiere di un esercito altrettanto minimo e sconfitto, e i loro petali cenciosi mi dicono che è ora di intraprendere la ritirata.

Getto i fiori nel primo cestino dei rifiuti e mi allontano, seguito dagli sguardi dei passanti e dalle loro voci che dicono: hai visto il nano come ha buttato via i fiori? Aveva un appuntamento? Con una nana? Hanno tirato un bidone al nano. Sono strani i nani, e altri commenti sulla cui statura non voglio né devo pronunciarmi.

[La lampada di Aladino è una raccolta di dodici racconti brevi scritti da Luis Sepùlveda. Ed. Guanda pp.39-40]

Questo a tuo figlio NON deve capitare. O meglio una BUCA nella vita l’avrà senza dubbio e anche dei momenti di tristezza, ma non dovranno essere la regola solo perché ha una qualsiasi differenza. Il mio scopo di pedagogista, il tuo di genitore è renderlo consapevole delle proprie risorse.

Così, dopo i primi appuntamenti e soprattutto appena giunti i primi piccoli risultati il bambino capisce che luogo è la Bottega e lo racconta a casa. La paura di essere diversi, la voglia di fare le domande sono svanite e si lascia il posto ai messaggio Whattsapp con i voti, le foto delle partite, le faccine soddisfatte, le mappe più colorate della notte dei tempi…

La REGOLA della BOTTEGA di Vania Rigoni te la REGALO,
la DEVI portare in Famiglia, a Scuola, a Lavoro:

<<Nessuno giudica. Non si urla. Si collabora. Si è sinceri.>>

E allora scattano domande differenti, domande di condivisione…

“Lo posso dire anche a Michele di venire da te? Ho capito Vania che tu lo sapresti aiutare.”

“Sai quel mio amico in classe, lo tengono sempre in prima fila, ma se venisse da te non sarebbe sempre in punizione…”

Altri che ogni tanto vengono all’isolotto, reclamano a gran voce:

“Di ai miei di portarmi allo studio giallo!!”

Per questo NON devi avere PAURA di rivolgerti alla pedagogista, alla collega psicologa, alla neuropsichiatra perché se siamo persone competenti e appassionate del nostro lavoro possiamo veramente aiutare te e tuo figlio e figlia. Lavoriamo in RETE come quella che sto costruendo, che ti permette di scegliere in prima persona al pari con noi le azioni da intraprendere per il benessere del tuo bambino.

Se vuoi saperne di più contatta la dottoressa Vania Rigoni ai seguenti indirizzi:

– Scrivendo una mail a ➡ dr.vaniarigoni@gmail.com
– Su Whatsapp, cliccando a questo link ➡ http://bit.ly/2ycrsE2

Oppure vieni a trovarla nei suoi studi.

 

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