La settimana scorsa ho pubblicato un post relativo all’inizio di un nuovo anno scolastico “Scuola, dritte pedagogiche di fine agosto“. Vi ricordate su quali aspetti mi sono soffermata? Li ritroverete anche qua pur cambiando alcuni parametri.
La Pedagogia clinica e i miei aggiornamenti sono orientati verso una pedagogia olistica, qualcuno la chiama integrata altri globale. Quello che la caratterizza è il modo in cui la persona viene accolta e guardata quando si rivolge a noi, specialisti. Resta dal primo giorno all’ultimo del nostro percorso educativo una Persona qualsiasi incompletezza e inefficienza abbia o pensi di avere.
Nel precedente articolo sull’ingresso a scuola ho offerto dei suggerimenti che possono essere adottati da tutti, oggi cercherò con delicatezza di affrontare quella parte di famiglie che oltre le naturali complessità ne hanno alcune in più per la situazione di malattia dei figli o di svantaggi sociali.
Se il vostro bimbo per qualche imprevisto alla nascita o qualcosa di congenito (sindromi, deficit cognitivi,spettro autistico, ipoacusico, ipovedente..) ha una qualche disabilità probabilmente sarete entrati in possesso di una diagnosi funzionale (legge 104 del 92) con certificazione medico-legale dell’Inps, tramite il vostro pediatra di riferimento che vi avrà inviato al servizio sanitario nazionale . Questa certificazione depositata nelle segreteria attiva un sistema di intervento e sostegno scolastico, talvolta anche domiciliare, pubblico che non necessita di revisioni nel tempo.
Leggendo queste parole potrebbe sembrare tutto molto semplice, in realtà oltre il percorso che la famiglia sta compiendo nell’accoglienza e rielaborazione di una situazione dolorosa come quella di un figlio che non sarà mai totalmente indipendente da un adulto, c’è un apparato socio-sanitario affaticato e alcune volte demotivato, un sistema scolastico (come leggiamo da mesi sui giornali) in perenne costruzione e decostruzione e voi vi sentite affogare.
Riconosco quello sguardo dai miei primi anni di lavoro. Da quando a scuola, dalle elementari in poi, i curricolari mi costringevano a uscire di classe con il “mio bambino” e portarlo in aula H perchè disturbavamo. Sono passati 20 anni, i docenti che fanno indegne richieste di questo tipo sono calati notevolmente, i colleghi educatori scolastici hanno acquisito maggior possibilità di azione e collaborazione con i colleghi del sostegno. Ma non è ancora sufficiente.
I bambini/ragazzi in virtù della loro situazione speciale, necessiteranno di una cura didattica e educativa costruita appositamente per loro, all’interno della quale in equipe verranno definite le abilità e le competenze, gli obbiettivi che in presenza di deficit cognitivi saranno ridotte o semplificate per adeguarsi alle risorse peculiari di ciascuno. Un altro aspetto prezioso è definite le metodologie e tecniche da utilizzare per favorire gli apprendimenti scolastici, sociali e individuali. Questo è chiamato PEI e come ogni progetto è importante che tutti i componenti dell’equipe si incontrino più volte l’anno per verificare che tutto proceda come previsto.
La normativa scolastica (perché la legge è classificatoria) prevede un altro gruppo di bambini e ragazzi che hanno un Disturbo Specifico dell’Apprendimento la cui diagnosi è fatta in seguito a segnalazione della scuola dai CRO e/o dalle ASL in presenza di un neuropsichiatra infantile, psicologo e logopedista* (legge 170/2012) che una volta protocollata a scuola richiede la progettazione di un PdP (piano didattico personalizzato) redatto in equipe e obbligatoriamente condiviso con la famiglia. All’interno del documento poiché il bambino non è portatore di alcun deficit cognitivo, bensì ha specifici deficit nelle funzioni apprenditive, verranno proposti per ogni materia strumenti compensativi e dispensativi atti a renderlo autonomo nel suo percorso scolastico. Non saranno previste semplificazioni, piuttosto il lavoro didattico sarà orientato nell’individuare le migliori strategie per facilitare il suo percorso formativo.
Poi c’è il gran “buglione”, passatemi il termine: tutti quelli che per qualche motivo sono denominati BES. Si parla di svantaggio sociale, figli di separati con alti conflitti, bambini adottivi che non hanno imparato la lingua italiana, figli di immigrati, borderline cognitivi… Per tutti questi fino ad oggi la scuola è improvvisazione e gran buona volontà degli insegnanti. Anche per loro se la situazione appare complessa al consiglio di classe dovrebbe essere redatto un PdP in cooperazione con eventuali figure pedagogiche e/o educative e sottoscritto dalla famiglia.
Ecco, ad eccezione delle parti normative cui non posso che adeguarmi come cittadina e specialista, per tutto il resto come pedagogista mi sento di disapprovarne i principi e contenuti.
Tutti i frequentatori di una qualsiasi scuola hanno un bisogno educativo speciale oggi (e non “sono” un BES nè un DS) momento storico di crisi sociale e culturale. Tutti necessitato di una didattica pedagogicamente nuova, mi piace che si sperimentino le “scuole senza zaino”, le flipped classroom, le scuole aperte tutto l’anno, le montessoriane e steineriane…
I patti educativi e le alleanze fra scuola e famiglia, fra insegnanti e stato, dovrebbero alimentare l’anima profonda dei programmi, perché come per i bambini chiamati normali così anche per gli altri occorre una sinergia di cura alla persona. Solo così il bambino (e la famiglia al suo fianco) può iniziare a percorrere la via della conoscenza, crescita e indipendenza relazionale, sociale e professionale che gli permetterà il miglior futuro possibile.
La proposta che nasce dal popolo dei pedagogisti/educatori di creare una figura del pedagogista di base e di prevederne anche la presenza fissa nelle scuole va in questa direzione, dove la persona-alunno è un soggetto le cui risorse vanno conosciute, le inefficienze vanno accolte e che deve imparare a conoscersi per crescere. Lo sguardo del pedagogista è quello che manca oggi. Abbiamo troppe figure “sanitarie” intorno ai nostri figli e poche figure educative.
Voi che ne pensate?
* N.B: nell’equipe di valutazione nei CRO e ASL non è prevista alcuna figura educativa, salvo in alcuni centri accreditati in alcune città con deroghe regionali.
[…] aver parlato di alleanze educative (famiglia-scuola-specialista), di difficoltà e di normativa scolastiche credo sia opportuno che racconti (almeno per i tratti salienti) come una pedagogista […]