Questo post è una mia riflessione profonda su un tema delicato, che proverò a raccontare con la mia solita semplicità e rispetto.
E’ un tributo a una donna, che può essere ciascuna di noi, e a una Famiglia che può essere la nostra.
Durante le ferie natalizie trascorse in ospedale ho incontrato una persona che era tanto che non vedevo, almeno due anni, e mai avrei pensato di ritrovarla proprio così. Lei fu la spinta ad approfondire la mia preparazione sulle coppie che scelgono di avvicinarsi alla procreazione assistita (PMA), e cercare di capire se e come la pedagogia potesse essere uno dei validi sostegni da offrire a queste persone. A quel tempo lei aveva perso il suo bambino, tanto atteso e miracolosamente arrivato in modo naturale, stava attraversando un momento buio dove chiedeva a se stessa di far pace con quel suo rabbioso sentimento, si sentiva una bara vivente perché la natura che lei rispettava aveva deciso che quel piccolo non era da nascere…e lei attendeva con sofferenza l’intervento di raschiamento.
Non ci si conobbe in relazione d’aiuto (non ero la sua specialista) per cui mi rivolsi a lei come si avvicina una compagna di disavventure e come spesso mi accade, iniziai a parlare di futuro.
Fu bello quando ci salutammo, io inauguravo alcune innovazioni per la Bottega e lei mi raccontò di un progetto professionale che aveva accantonato (il futuro aveva vinto).
Oggi sto rientrando a casa, molto stanca e provata dalle nuove cure, e con un peso nel cuore: la mia ex vicina di letto, quella delicata e forte donna, era di nuovo nel mio reparto ad incassare un nuovo colpo dalla vita, le avevano appena comunicato che non avrebbe mai avuto un bambino suo.
La ferita che quella diagnosi le ha aperto è come un monitor, dove passano immagini della vita a colori, frenetiche e disorganizzate…un vaso di Pandora di emozioni incontrollate.
Questa volta però non me la sono sentita di essere progettuale, aveva bisogno di essere ascoltata, accolta, capita in tutta la sua tristezza e delusione: oggi si sente come se avesse perso il treno più prezioso, come se il testimone spirituale di tante sue iniziative andasse perduto per sempre.
Cosa c’è di diverso? La speranza è sbiadita. Il dolore la ovatta. In certi momenti prima bisogna far pace con le nostre ferite e poi si può amare di nuovo noi stessi e ricostruire*. In tutto questo, dove sono i compagni o mariti? Sono pietrificati, impauriti.
E la PAURA se non la si guarda, come con altre parole dice anche Nardone, serve solo a non andare avanti, a zavorrarsi contro possibili felicità.
Ancora tanti uomini nella nostra cultura per molti versi ancora medioevale non sono educati ai sentimenti, li sfiorano quando va bene, ma spesso non riescono a farsi attraversare e alla fine si bloccano. Troppo spesso rischiano di essere deleganti verso le loro compagne lasciando loro tutto il carico di risolvere certe questioni sentimentali, nascondendosi (o non mettendosi in discussione) dietro la famiglia di origine che non li ha allenati.
In pratica il compagno della mia vicina era solo stramortito dal verdetto e dal vedere lei, la donna che ama distrutta nel fisico e nell’anima; impotente implodeva nella sedia vicino a lei, cercando di aggrapparsi a una maniglia che non trovava. E tuttavia è stato lì ogni istante, con lei e per lei.
Come ti dico spesso per essere una Famiglia occorre mettersi in gioco, scoprire le carte e assumersi le responsabilità di tutte le nostre azioni agite e trattenute, le parole dette e quelle neanche pensate, affrontare le nostre paure (rivolgendosi ai professionisti) e non scappando davanti a quelle dell’altro.
Essere famiglia è essere amanti che lottano per la felicità comune
e proteggersi dagli attacchi,
non è fondamentale generare figli per essere famiglia
ma è fondamentale generare amore vittorioso.
In certi momenti contattare uno specialista può essere una risposta efficace a quella che è la Tristezza universale, ma anche stringersi ai propri cari è un’ottima terapia.
La pedagogista può essere d’aiuto se hai bisogno di riorganizzarti e per fare il miglior lavoro possibile sono in contatto con l’Associazione CiaoLapo nata proprio per sostenere e aiutare famiglie così provate (e per essere efficienti fanno anche ricerca scientifica in questo settore perché tali dolori accadano sempre meno).
Se vuoi parlarne direttamente con me puoi chiamarmi allo 055472846 o scrivermi vaniarigoni@vaniar.sg-host.com
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La sofferenza è un macigno difficile da spostare.
Ma mi vien da dire (e magari non ho capito bene quanto trapelava tra le righe di questa emozionante narrazione di vita) che in questa cultura [ancora forse troppo] medioevale al “compagno” non è ancora stato attribuito il vero ruolo di “padre”. Anche il “compagno” ha perso un figlio. Suo figlio. E probabilmente è/era dilaniato nello spirito (se non nel corpo) tanto quanto quella sua compagna che non è diventata madre. Come lui non è diventato padre.
Se ripenso al giorno in cui è nata mia figlia, al mio stare in quel corridoio vuoto e silenzioso sentendo la sofferenza della mia compagna che partoriva, ricordo bene tutti i pensieri che mi sono passati per la testa. E il pensiero della perdita era quello più potente, più ricorrente. Ho pensato che potevo perdere la mia compagna di vita. Ho pensato che avrei potuto perdere la mia piccola bimba. Ma non ho mai pensato che avrei potuto perdere l’occasione di diventare padre.
E oggi so che sono stato uno sciocco allora. Perché diventare padre è stata la cosa più faticosa ma importante della mia vita.
Volevo proprio sottolineare, confrontandomi con educational-babbi come te, Alessandro, quanto ancora si sbagli culturalmente a pensare che in certi percorsi di vita sia solo la madre ad aver perso e quindi a dover lavorare per ricostruire…quando invece testimonianze come quella che ho provato a narrare affermano con forza il contrario. Babbo e Mamma si è dal momento “in cui ci si prova”, e quando la natura ci toglie questa occasione così brutalmente entrambi hanno bisogno di “cura” e di “amore”.
Gli uomini hanno certamente il limite di faticare ad esprimere le proprie emozioni e le donne hanno il limite di non riconoscere il limite del proprio compagno.
Basterebbe allenarsi a comunicare meglio, cercando un linguaggio comune…
La mediazione fra due linguaggi così differenti è possibile solo quando c’è l’Amore e il rispetto (dei tempi, della diversità,della storia di vita).