Ci sono parole oggi che sono trattate tutte con lo stesso peso, e per parlarne dovrei scrivere un libro cosa di cui non sono in grado.
Vorrei iniziare da amico
Oggi ha necessariamente varie declinazioni, può essere il conoscente via FB che mette “mi piace” a tutto quello che pubblico come anche l’amica che conosco da 20anni, come la collega con cui vado d’accordo, ed anche la nuova amicizia fatta ai giardini ieri pomeriggio. Ma questo è un approccio che tende a livellare e appiattire da un lato come dall’altro può far perdere le potenzialità che stanno dietro alle differenziazioni delle relazioni che instauriamo, credo perciò come educatori (e qui parlo ai colleghi e ai genitori) che dovremmo provare ad affrontare con noi stessi per poi essere modello reale per i figli e i ragazzi che a noi si riferiscono.
Qual è l’ultima volta che vi siete soffermati sulla parola amico?
Colui che è legato ad altri da vincoli di amicizia. Ma anche sostenitore dice il vocabolario.
E allora Amicizia cos’è?
Vivo e scambievole affetto fra due o più persone, ispirato in genere da affinità di sentimenti e da reciproca stima.
Quindi si presuppone ci sia una sorta di conoscenza che ci permetta di cogliere e accogliere l’altro.
Noi pedagogisti clinici puntiamo tanto sulla relazione e per prima su quella che abbiamo col corpo, per poter sostenere poi le persone nel momento in cui escono nel mondo (reale e/o web) e far si che abbiano delle loro proprie strategie di lettura dei legami che gli vengono proposti e conoscenza di ciò che suona positivo o no per loro stessi. Quando invece sempre più la corporeità è lasciata indietro, spesso è solo un brutto contenitore che le persone bistrattano invece che coccolare.
Mi/Vi domando se è cambiato il modo di accogliere una persona nuova nella nostra vita in seguito alla nascita di nuovi spazi di incontro digitali, come approfittarne per arricchire le modalità di entrare in relazione con queste persone? Dobbiamo chiedercelo, è nostra responsabilità, non possiamo fermarci al banale “i social sono pericolosi”, perché i social non sono odierni demoni.
1. Proporre modelli di alternanza, avere una vita sociale (cene, gite fuori porta, festicciole, fare i compiti in gruppo) e una vita social media.
2. Essere i primi a differenziare le qualità delle nostre relazioni (es. dire chiaramente ai nostri bambini che Mapi è un’Amica, che Paolo è un collega e Carlotta una conoscente e che quindi non ho sentimenti uguali per le tre persone anche se con tutti e tre ho una relazione).
Genitori, cosa ne pensate?
Infine invito gli esperti di Social & Educazione, come la neo amica e collega Anna Gatti dell’Ass. Metas ma anche altri ad aggiungere sfumature a questa mia riflessione: lo scambio sul web e social è una naturale comunità di pratica e ricerca secondo me.
Cara Vania, concordo sulla questione della differenziazione dei “livelli” di conoscenza e di prossimità.
dal lavoro che stiamo facendo in Presi nella Rete con l’Associazione Metas (ex Emmabella), emerge che i ragazzi distinguono abbastanza bene i diversi modi di conoscersi sul web.
la cosa che è rimasta sospesa, è se, come domandi tu, questo faccia la differenza con i comportamenti di quando ci si incontra fisicamente.
a me viene da pensare che anche la nostra storia (tua Vania, mia e delle altre socie di Metas) abbia fatto questo percorso: ci siamo conosciute in rete lavorando ad un progetto comune, poi abbiamo avuto voglia di incontrarci per conoscerci, per vedere se quello che avevamo intuito potesse essere veramente “vero” e non mediato dal web.
ma questo è un atteggiamento adulto verso l’incontro.
dobbiamo trovare strade percorribili per mostrarlo anche ai ragazzi e ai figli.
perché delle buone abitudini sul web, delle “resistenze” al lasciarsi andare nelle relazioni che si incominciano, possono diventare delle buone protezioni.
lo so, 3/4 delle volte sentiamo storie che non vanno in questa direzione:
chi si fa addescare da un contatto web e poi ci si incontra e si finisce in situazioni pericolose. ecco dunque che il meccanismo della prudenza, insegnato sul web, che toglie la parte di fisicità, mi viene da chiedervi se è necessariamente un ostacolo o può diventare risorsa.
e se si, cosa fa la differenza?
una buona educazione affettiva fatta in tenera età. a tappeto, a tutti.
Grazie Anna, sei stata rapidissima col tuo feedback, malgrado gli impegni!
L’educazione affettiva a tappeto è un’emergenza oggi, e chi come noi lavora anche dai pre adolescenti in su se ne rende “faticosamente” conto. E pensando a loro sempre più credo sia importante l’intervento su due binari: un piccolo gruppo per i figli con esperienze di atelier (noi pedagogisti clinici lo sai li chiamiamo così..) e un percorso di consulenza pedagogica per i genitori.
Però volendo andare oltre, perché la nostra professione lo richiede, anche per i genitori sarebbero importanti esperienze pedagogiche di gruppo e non “seminari” frontali o “maestri” di vita, quanto invece laboratori dove fare “improve yourself” end “reflect youself” by own.